si distribuisce alla linea
del mento il docile e dolente
ricordo di siepi e pietre
che allineano sparute scoprendo
aculei insospetti sui passi
corretti che allunghi
spuntano come funghi i morsi
e rimorsi storici
30 venerdì Mag 2008
Posted Poesia
insi distribuisce alla linea
del mento il docile e dolente
ricordo di siepi e pietre
che allineano sparute scoprendo
aculei insospetti sui passi
corretti che allunghi
spuntano come funghi i morsi
e rimorsi storici
26 lunedì Mag 2008
Posted Appuntamenti
inL’esperienza del Licenze Poetiche Festival è stata emozionante e coinvolgente. Per quanto mi riguarda, ho avuto l’occasione di discutere coi poeti venuti da tutta Italia molti argomenti e questioni non solo strettamente poetici che mi stanno molto a cuore. Culmine e coronamento, la lettura che ho fatto giovedì sera, al Cinema Italia di Macerata, insieme a Manuel Caprari, Laura Corraducci e Maristella Angeli, di fronte ad un così numeroso pubblico:
e poi, venerdì pomeriggio, quando ho curato la presentazione dei libri “Canti ostili” di Italo Testa e “Cenni e silenzi” di Enzo Santese:
Ma è ancora presto per raccontare in maniera chiara ed efficace l’accavallarsi di spunti e idee manifestatisi durante questa settimana di fuoco, e mi prendo quindi un pò di tempo per lasciarle posare e germogliare, poi ve ne parlerò.
Intanto, vi invito a leggere la cronistoria degli incontri e degli eventi nel blog di Alessandro Seri.
P.S.: Piccolo promemoria: giovedì pomeriggio alle 18 o giù di lì, alla Biblioteca Comunale “Mozzi-Borgetti” ci sarà l’ultimo incontro del laboratorio di lettura “I libri per l’isola deserta – Abbracci di culture” che avrà per tema il libro di Tiziano Terzani “Lettere contro la guerra”: spero che ci può parteciperà al dibattito.
23 venerdì Mag 2008
Posted Discussione
inChissà se le proprie parole non siano nella maggior parte dei casi dei puntelli alla materia che espande contro di noi. Ed io che vorrei che la materia sfondasse la palizzata, che la parola non fosse esercizio di superbia. Un volo sì, ma che atterri infine, e si sporchi gli artigli e le penne.
C’è rischio non solo nelle nostre, ma anche nelle parole altrui. Si rischia l’annullamento dell’umiltà, la presunzione del dire giusto, di essere assennati pittori, quando tu non desideri che farti voce di natura, grido dell’oggi che incombe su di noi: non modello bensì modellino, plastico in scala del cosmo quotidiano nella sua straziata bellezza e crudeltà.
22 giovedì Mag 2008
Posted Discussione
inNoi ci troviamo nella parola, vi navighiamo, la respiriamo fino ad esserne sazi. Ma spesso non siamo coscienti che essa è artificio, delimitazione afferrabile di oggetti e pensieri: che è arte. Artefatta e artigiana.
Tuttavia, se pure lo sapessimo, vorremmo continuare ad edificare l’artificio, l’edificio in cui amiamo vivere. E chi ne è consapevole, comprende questa necessità ormai neurale, fisiologica di essere avvolti di parola, e riproduce con la poesia il contesto, ciò che circonda il testo e dà ad esso significato solido, tangibile. Il pensiero senza la materia è vuoto, neanche aria che a noi, di solito, serve a vivere.
20 martedì Mag 2008
Posted Discussione
inVisto che alla prima citazione non si è data risposta, stuzzichiamo la parola:
«Il teologo deve fare i conti con l’uomo contemporaneo – soprattutto co chi non vive in un luogo riservato o dove la pressione è minore: Ha di fronte un uomo che ha vuotato il calice del dolore e del dubbio e che deve la sua formazione più al nichilismo che alla Chiesa – tralasciamo per il momento di verificare quanto nichilismo si nasconda anche nelle Chiese.
« Quest’uomo ha perlopiù una personalità etica e spirituale poco articolata, quantunque si esprima con luoghi comuni convincenti. È vivace, intelligente, attivo, diffidente, privo di senso artistico, istintivamente denigratore di tipi e idee superiori, attento al proprio tornaconto, maniaco della sicurezza, facilmente influenzabile dagli slogan della propaganda di cui troppo spesso gli sfuggono i voltafaccia solitamente repentini; è nutrito di teorie filantropiche ma, se il prossimo o i vicini non si adeguano al suo sistema, è anche disposto a ricorrere a una violenza tremenda, che né il senso della giustizia né il diritto internazionale potranno arginare. Al tempo stess vive nell’incubo di essere perseguitato da potenze maligne fin nel profondo dei sogni; è poco incline al piacere e ha dimenticato persino che cosa sia la festa. D’altra parte dobbiamo dire che in tempo di pace egli gode dei conforti della tecnica che la durata media della vita è notevolmente aumentata, che il principio dell’uguaglianza è, sotto il profilo teorico, ammesso dappertutto, e che in certi punti della terra sono allo studio modelli di vita in cui l’estensione dell’agio a tutti i ceti sociali, la libertà individuale e la perfezione automatica raggiungeranno livelli mai conosciuti prima. Ma è impossibile che, giunta a termine l’era titanica della tecnica, questo stile di vita sia destinato a diffondersi. Cionondimeno, la vita dell’uomo non sfugge alla decadenza: da questo dipende il grigiore e il senso di disperazione caratteristici della sua esistenza, che in alcune città – o addirittura in alcune nazioni – si è incupita a tal punto da spegnere ogni sorriso e richiamare alla memoria un mondo di larve umane come quello che Kafka ha descritto nei suoi romanzi.
«Compito del teologo è di far presentire a quest’uomo, che pure gode di condizioni ottimali, ciò che gli è stato sottratto, e quali enormi forze ancora dimorino in lui. Teologo è chi mira più in alto della pura economia di sussistenza e conosce la scienza del superfluo, il mistero delle fonti inesauribili che sempre si trovano vicino a noi. Ai nostri occhi teologo è colui che sa – per esempio Sonja, la piccola prostituta che scopre in Raskol’nikov il tesoro dell’essere e lo sa riportare alla luce per lui. Il lettore intuisce che quei talenti non sono stati recuperati soltanto per la vita, ma anche per la trascendenza. È ciò che fa la grandezza del romanzo, e del resto l’intera opera di Dostoevskij ricorda un di quei frangiflutti contro i quali si polverizza l’eresia del tempo. Sono costruzioni che emergono più limpide dopo ogni catastrofe e nelle quali eccelle su tutte la penna degli scrittori russi».
(da Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, Adelphi)
16 venerdì Mag 2008
Posted Discussione
in«La paura è uno dei sintomi del nostro tempo. Tanto più essa suscita costernazione in quanto è succeduta a un’epoca di grande libertà individuale, in cui la stessa miseria, per esempio quella descritta da Dickens, era ormai quasi dimenticata.
«In che modo è avvenuto questo passaggio? Se volessimo scegliere una data fatidica, nessuna sarebbe più appropriata del giorno in cui affondò il Titanic. Qui luce e ombra entrano bruscamente in collisione: l’hybris del progresso si scontra con il panico, il massimo comfort con la distruzione, l’automatismo con la catastrofe che prende l’aspetto di un incidente stradale.
«È un fatto che i rapporti tra i progressi dell’automatismo e quelli della paura sono molto stretti: pur di ottenere agevolazioni tecniche, l’uomo è infatti disposto a limitare il proprio potere di decisione. Conquisterà così ogni sorta di vantaggi che sarà costretto a pagare con una perdita di libertà sempre maggiore. Il singolo non occupa più nella società il posto che l’albero occupa nel bosco: egli ricorda invece il passeggero di una veloce imbarcazione che potrebbe chiamarsi Titanic o anche Leviatano. Fintanto che il tempo si mantiene sereno e il panorama è piacevole, il passeggero quasi non si accorge di trovarsi in una situazione di minore libertà: manifesta anzi una sorta di ottimismo, un senso di potenza dovuto alla velocità. Ma non appena si profilano all’orizzonte iceberg e isola dalle bocche di fuoco, le cose cambiano radicalmente. Da quel momento non soltanto la tecnica abbandona il campo del comfort a favore di altri settori, ma la stessa mancanza di libertà si fa evidente: sia che trionfino le forze elementari, sia che taluni individui, i quali hanno conservato la loro forza, esercitino un’autorità assoluta».
(da Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, Adelphi)