i giorni sono concreti
riempiono l’occhio ligneo
che legge erbe e spume
quando allagano il tempo
la mano è rubata dalla marea
non chiede salvezza, disattenta
alla sollecitudine svagata dei volti
alternati ai sedili del viaggio
diventa assai esile il nervo
che collega alle persone
non c’è più vantaggio a tessere
ad afferrare la schiuma di spiaggia
che prima scriveva nomi e rinunce
distrazione vince, unico rimedio
se ancora può colmare
Noi non siamo qui neanche quando il corpo ci pesa sotto, neanche quando la sete ci spezza le parole. Forse neanche quando le lacrime si prendono lo spazio debito e la ruga spenta della fronte annega nel dubbio. Abbiamo delineato una pausa tra le forme del paesaggio, un ricordo cavo che magari qualcuno colmerà di aneddoti inteneriti dalle distanze. Saremo caduti vittime di un prurito che non s’acqueta neanche sotto le piogge più perentorie, e che rosicchia e incrina il quadro già scomposto e scheggiato. Avremo lasciato nient’altro che un aroma ormai distante, un amalgama di spezie sfocate nel tempo, una porta di buio che non si riapre.
Eravamo agli apici cristallini ed ora eccoci, tra i pulviscoli stagnanti di un vagone terzomondista scampato a quale genocidio chi lo sa, ma tanto ancora ne possiamo avere le urla nelle pieghe delle memorie. E tutto perché la luce non si separa dall’ingordigia delle mani profane che la sotterrano, la setacciano in cerca non sappiamo di quali amuleti ed elisir. Noi schiacciati lecchiamo le pietre per trarne forza e schiuderci alla crudeltà di un risveglio che forse le spalle attutiranno gli strali e noi rifulgeremo, nubi umide di mansioni nuove e degne di sogno. Noi cadremo, cadiamo, siamo caduti senza capire, inciampando nei cartelli illeggibili che ghignano senza spiegare, e ne mangeremo ancora di amarezze, e gli occhi punti dalle lacrime che avevamo fortunatamente risparmiato per giorni e burrasche. Interminate le promesse si rinviano come un’eco affondata tra le madrepore e i galeoni popolati di alghe.
Così ci si agita la furia in una conchiglia di rancore, un’illusione che incenerisce e scjeletrisce i discorsi nei labirinti delle possibilità mai spese. Chiudiamoci negli abissi che soltanto noi potremo disserrare.
Oggi ritaglio una piccola parentesi per un doveroso omaggio. Oggi la Festa del Cinema di Roma dedica un omaggio alla figura ed ai film di Francesco Nuti, attore toscano che dimostrò di avere una capacità particolare di divertire ed emozionare, con quella sua faccia lunga e scanzonata, con quel sorriso dal fondo un po’ amaro e disincantato, con quella voglia di buttare tutto in burla, ma una burla molto seria, dimostrandosi capace anche di ironia e caustico spirito critico. Molti non capirono, molti derisero, molti denigrarono, e Nuti non la prese bene, entrando in un tunnel che soltanto oggi, dopo una grave caduta che lo portò vicino alla morte, sembra sboccare di nuovo alla luce.
A volte non si fa sufficientemente attenzione a coloro che hanno contribuito alla formazione dei nostri modi, dei nostri atteggiamenti, delle nostre smorfie, relegando le icone pop nel segreto inconfessabile dei ricordi più gelosamente celati, magari poiché questi “modelli” sarebbero impresentabili in società. A me invece preme molto ringraziare, anche se forse non lo saprà mai, Francesco Nuti, per quei film che mi hanno divertito da ragazzino, che mi hanno fatto appassionare ad un certo modo stralunato di interpretare e di vivere la realtà, sempre con un ghigno divertito e distaccato sulle labbra, ma amando e godendo tutto il sapore dei giorni e degli esseri umani con cui ci capita di incrociare in questo grande grande mare.