quando ti ho visto dietro un soundcheck di flauti e contrabbasso, ti difendevi dentro una camicia corallo, la testa che finiva nell’argento dei capelli, sempre folti, ma la testa era più piccola, concentrata nelle azioni: decidevi se piegare la terza falange dell’indice, ruotavi il polso con cautela delicata, a testarne la salda connessione al braccio, per portare in posizione d’attracco le stecche metalliche degli occhiali
gli occhi ti si erano persi un attimo sul tavolo, a contare le pagine scritte che avevi con te, eri intento a ricalcolare quanta energia servisse a pinzare nelle mani quei ricordi
forse avrei preferito ricordarti impresso in quella sera ripana, noi quattro nel taglio ancora caldo del tramonto, che ci ridiamo negli occhi e brindiamo con quel rosso fiammeggiante che faceva pulsare le colline, rinsanguava la scalata del vivere: e quella notte goduta a intenderci su ruoli e traguardi e, una volta raggiunti i saluti, sbracciarci nel vuoto che ci allontana
e invece vederti a quel modo è stato lo strappo di una faglia, la caduta dal ramo del frutto che compie il suo progetto, dona i suoi semi a noi che vorremo coltivarli
