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Il fruscio secco della luce

Il fruscio secco della luce

Archivi della categoria: Storia

COME PULCI TIGNOSE

17 giovedì Set 2020

Posted by Marco Di Pasquale in Chiacchiere da bar, Cronaca, Diario minimo, Discussione, Politica, Storia

≈ 2 commenti

Tag

concita de gregorio, critica, dimartedi, gianrico carofiglio, giovanni floris, intellettuali, la7, matteo salvini, politica, sinistra

Non ci siamo proprio: due sere fa, a due passi dalle elezioni regionali e per il referendum sul taglio dei parlamentari, ho assistito su La7, all’ennesimo errore strategico di un paio di intellettuali (?) di sinistra (?) di fronte al serafico sovranista nostrano, il senator Salvini, intento a «sopportare stoicamente le angherie della gogna mediatica» (già mi sembra di leggerle così le giaculatorie dei fedelissimi del leader carroccesco, imbastite a social unificati dai suoi spin doctors d’accatto), perpetrate nei suoi confronti da Concita De Gregorio, aggressiva e ben poco incline al sarcasmo, che imbraccia il livore, anche scaturito anche da traversie giornalistiche personali, come un’arma ritenuta risolutiva, con l’unica conseguenza di farsela esplodere in faccia; e da Gianrico Carofiglio, magistrato che ha inopinatamente abbandonato la carriera giuridica per rinascere mediocre scrittore, che, con il suo broncio rugoso da concettuoso pensatore e con il ditino alzato a monito, ha interpretato goffamente il ruolo del maestro Perboni del libro Cuore, scivolando clamorosamente su un paragone tra Salvini e due dementi assassini di provincia tratti dall’efferata cronaca contemporanea, davvero indegno di un dibattito civile.
Questi non possono più essere i prototipi del pensatore progressista, che magari ha anche argomenti più che legittimi e accurati, ma che si ostina in una postura retorica che non può che irritare, respingere chiunque potrebbe essere (ri)conquistato alla causa antipopulista.
Un po’ di svagata ed eversiva ironia, niente paragoni strappacuore, una precisione d’attacco da schermidore, fondata su domande a cui l’imputato non può che rispondere “questo lo dite voi perché ce l’avete con me”, facendogli perdere la pazienza, l’aplomb e la corazza della risatina senza dargli scappatoie. E basta ad autoeleggersi primi della classe, quelli che hanno studiato ed hanno la verità in tasca e se fai il bravo te la mostrano, ma solo un po’, poiché solo loro ne sono i detentori gelosi. Molto meglio agire come pulci tignose nell’orecchio, a cui non puoi che dare ascolto, da cui non puoi difenderti se non grattandoti colpevolemente senza più difese, chiedendo forsennatamente ragione e trasparenza, ma non come puri contro corrotti, ma come persone che reclamano i propri diritti di uguaglianza e giustizia. Solo allora ci resterà ancora un’opportunità.

De Gregorio – Carofiglio

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PAROLE DI GEORGE FLOYD – UN TESTO DI CARLOS PICCIONI

16 giovedì Lug 2020

Posted by Marco Di Pasquale in Cronaca, Discussione, Poesia, Politica, Storia, traduzione

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Tag

black lives matter, carlos piccioni, george floyd, rebellion, USA

Per festeggiare in maniera significativa il mio compleanno, vi propongo un omaggio fattomi dall’amico poeta argentino Carlos Piccioni: lui ha scritto questo testo molto commosso e intenso, dedicato alla questione di Black Lives Matter, ed io, traducendolo, voglio dare il mio contributo e la mia piena adesione alla causa degli afroamericani e di tutte le minoranze etniche e culturali che negli Stati Uniti stanno attraversando l’ennesimo calvario.
Quindi grazie innanzitutto a Carlos, ma anche e sentitamente a tutte e tutti coloro che combattono per i diritti, l’uguaglianza ed il rispetto degli esseri umani.

PAROLE DI GEORGE FLOYD

Dice
George Floyd:
che vuole respirare,
che gli piace farlo,
che glielo lascino fare,
che ha questo vizio
da sempre,
che per favore,
che è davvero molto
che lo fa
che è da quando era bambino,
così dice

che sempre lo ha fatto,
che per cortesia
che non gli neghino l’aria,
che non gli tendano una trappola,
che sono troppi per lui,
che agogna solo aspirare,
che lo saprebbe certo apprezzare,
se gli lasciassero intatto
quel desiderio pulsionale
di respirare,
che sarebbe proprio felice
che nonostante l’aria
non sia per chiunque,
che per pietà
che lui saprà certo gradire,
che glielo lascino fare,
che la respirazione possiede
un sapore che ci appassiona,
che non lo schiaccino
con la gola
contro il cemento…

Che non se la ridano, per carità,
per quelle labbra da negro,
con cui sempre respirò,
che afferra che il privilegio
dell’ossigeno
non è per chiunque,
che però ugualmente
che lui saprà come risarcire
i 20 dollari che costa questa benedetta
mercanzia,
che sa che la respirazione
ha il suo costo,
che gli piacerebbe
nonostante tutto
spartirla con gli altri
che vivono respirando…

Che l’aria appartiene a chiunque, dice,
che per piacere
che sarebbe lui stesso, se potesse,
a spartire quest’aria,
oltre alle altre cose
della vita,
se proprio occorre dirlo,
che anche gli alberi,
la luna,
il firmamento,
il mare,
dove l’aria è così
bella da vibrare
come una passione
indeclinabile!
Ad ogni modo.

Lo si ascolti
George Floyd,
lui dice
che lo si lasci respirare
perché lui: ADORA RESPIRARE.

* * * *

PALABRAS DE GEORGE FLOYD
Dice
George Floyd:
que quiere respirar,
que a él le gusta,
que si lo dejan,
que él tiene ese vicio
desde siempre,
que por favor,
que hace mucho
que lo hace,
que desde chico,
dice,

que siempre lo ha hecho,
que por favor,
que no le pisen el aire,
que no le hagan EMBOSCADA,
que son demasiados para él,
que él sólo quiere respirar,
que él sabrá agradecer,
si le dejan intacto,
el deseo PULSIONAL
de respirar,
y que estaría feliz

que aunque el aire
no es para todos,
que por favor,
que él sabrá agradecer,
que si lo dejan,
que la respiración tiene
un sabor que nos gusta,
que no le pisen
la garganta
contra el cemento..

Que no se rían, por favor,
por esos labios de la NEGRITUD,
con los que siempre respiró,
que comprende que el
privilegio del aire,
no es para todos,
pero que igual,
que él sabrá reponer
los 20 DÓLARES
que cuesta esa BENDITA
mercancía,
que sabe, que la respiración,
tiene un costo,
que le gustaría,
igualmente,
compartirla, con otros
RESPIRANTES..

Que el aire es para todos, dice,
que por favor,
que él mismo, si pudiera,
compartiría ese aire,
y también, otras cosas
de la vida,
se le ocurre decir,
que los árboles, también,
que el sol
que la luna
las estrellas
el mar,
donde el aire es tan
bello, que vibra,
como una pasión
indeclinable!
En fin.

Escúchenlo
a Georges Floyd,
él dice,
que lo dejen respirar,
que él: AMA RESPIRAR.

CARLOS PICCIONI (1945) vive a Rosario dal 1967, dove ha conseguito la laurea e l’abilitazione di docente di Storia nella locale Università. Da molti anni è impegnato nella scrittura poetica e prende parte attiva a pubblicazioni e manifestazoni letterarie su tutto il territorio argentino. Ha dato alle stampe diverse raccolte di poesie, tra cui El sueño de las lluvias (1984), con la quale ottenne nel 1987 il Premio Provincial José Pedroni.

Carlos Piccioni

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DEGUSTAZIONI N. 28

06 sabato Apr 2019

Posted by Marco Di Pasquale in Chiacchiere da bar, Critica, letture, Narrativa, Poesia, Politica, Storia

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Chissà se accade a causa della scarsità perenne di tempo, o perché magari la mia concentrazione affievolisce progressivamente con l’aumento degli impegni, o chissà per quale altro motivo, ma fatto sta che questo Il conservatore della Nobel sudafricana Nadine Gordimer ha davvero stentato a farsi terminare e, solo grazie ad una promessa a cui tengo sempre fede, non ho ceduto alla tentazione di abbandonare le dense, magmatiche, stratificate e complesse architetture di questo romanzo, risalente alla metà degli anni Settanta.
D’altro canto, non posso non ammettere di essere stato avvinto dalla vicenda, che emerge dall’impeto delle onde narrative, di un industriale di mezza età, convintamente fagocitato dal sistema di vita dei ricchi bianchi, appartenenti a quella che definiremmo la lobby dei metalli, sospinto dalla corrente velocissima di una superficialità leggera che soltanto sfiora la realtà, tra un terminal aeroportuale e l’altro, tra una visita e l’altra alla farm, la fattoria acquistata per seguire la moda dello status symbol che lo assimila a tutti i suoi pari. In questo luogo separato dal suo habitat naturale, il “falco della ghisa” Mehring prende tutti i weekend una boccata di ossigeno che però non è lenitiva, anzi, sembra quasi sbendarlo e porlo impietosamente di fronte a se stesso e alle contraddizioni di cui è ben cosciente.
Un fatto tragico, il ritrovamento sul suo terreno del cadavere di un uomo di colore, è l’innesco che incendia la regolarità asfittica della vita di Mehring: lui cerca in tutti i modi di liberarsi del ricordo, di lasciarlo sepolto nella grande distesa piatta del veld, ma non molto tardi dovrà fare i conti con ciò che di irrisolto, di sospeso e lacerante ha lasciato giacere nel fondo della coscienza e che, come sempre in natura, non si è dissolto completamente.
L’inciampo continuo, il tortuoso percorso della mente, le ansie e i rammarichi, tutto il meccanismo di marcia avanti e indietro si riflette nella scrittura intricata, che passa dal discorso diretto al flusso di coscienza, dalla descrizione all’allucinazione, sconta l’angoscia di un personaggio che vede cedere sotto i piedi tutte le sicurezze di cui si compone la storia individuale e collettiva di una terra, il Sudafrica, che vive il contrappunto singolare di due facce complementari: l’autodistruttività della componente afrikaner e la resilienza delle popolazioni native. Il dettato ne risulta troppo legnoso, contratto nelle movenze, e spesso i passaggi da un concetto all’altro avvengono in maniera a dir poco acrobatica (pregio ma anche difetto).
Si presentano più distese e forse meglio riuscite le sezioni in cui il ruolo del protagonista lo detiene il paesaggio, ma non tanto come rassicurante cornice panoramica, quanto come sede di quell’energia, di quel pungolo, di quella fonte di risonanza che scuote i sentimenti dei personaggi, soprattutto nell’evoluzione di quelli del padrone della farm, folgorato dalla ricchezza di vita di quell’angolo appartato, unico luogo di sosta in un mondo di conflitti, dove il ciclo dell’esperienza trova la sua più naturale ricongiunzione.

Nadine Gordimer – Il conservatore

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SRADICA DALLE MANI

04 martedì Set 2018

Posted by Marco Di Pasquale in Appuntamenti, Diario minimo, Discussione, Musica, performance, Poesia, Storia

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camerino, fine agosto 2018

il piede poggia sul pane che la terra
produce e di questo si nutre l’arpeggio
che smuove il pubblico, mentre la tromba
sradica dalle mani la musica a fecondare
il parco che arido da due anni tace

intanto, dietro l’imboccatura del suono
si stende la vibrazione del sorriso
a incidere la tela di facce
ritratte in ascolto e speranza

Jazz italiano per le terre del sisma 2018

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DEGUSTAZIONI N. 25

27 martedì Feb 2018

Posted by Marco Di Pasquale in Chiacchiere da bar, Critica, Discussione, Narrativa, Politica, Storia

≈ 1 Commento

Parlando di questo libro, rischio di non essere imparziale, quindi spero che mi si scusi in anticipo per un eccesso di passione nei confronti dell’appena terminato La vergogna di Salman Rushdie. Dopo almeno una quindicina d’anni dal corpo a corpo con l’incredibile, magmatico ed avvolgente I figli della mezzanotte, l’opera prima dell’autore anglo-pakistano, mi trovo ad addentrarmi in un altro dedalo di storie, più o meno fantasiose, che cerca di delineare lo spirito della Nazione dei Puri in Allah dalla sua fondazione agli anni Ottanta, attraverso una saga familiare a doppio binario, narrando le vite delle famiglie Hyder e Harappa.
La vergogna abbraccia un lungo arco temporale che vede la nascita, lo sviluppo e l’incamminarsi su vie erratiche della nazione pakistana, con una veemenza senza freno all’ironia e soprattutto alla tragicomicità, filtrata attraverso il tratto, a volte rarefatto, a volte iperbolico, della fiaba morale. In questa narrazione si collocano personaggi incredibili (in senso etimologico), dotati di poteri a doppio taglio, agitati dalla smania crudele del potere oppure invasati dalla foia sessuale e materiale in genere, o ancora obbligati dalla propria coazione a ripetere i medesimi errori, a distruggere qualsiasi cosa abbiano essi costruito, sia un baule di ricami o una carriera politica sfavillante.
Tuttavia, l’epopea delle due famiglie che ebbero nelle loro mani i destini del Pakistan (i nomi sono cambiati, ma loro sono esistiti veramente e vengono trasfigurati nel romanzo) non riesce a raggiungere la carica esilarante e la valenza grandiosamente simbolica che il libro d’esordio aveva sviluppato, con quella rutilante fantasmagoria di eventi ruotanti intorno al perno Saleem Sinai, che gli era valso il Booker Prize nel 1981. C’è come una sfocatura, o forse un’assenza di baricentro che, nonostante sia giustificata dal carattere corale del libro, disperde la forza narrativa, la precisione nel delineare i soggetti ed i contesti, annacquandola nella sperimentazione di inserti metanarrativi o addirittura autobiografici totalmente avulsi alla trama, con effetti di gravosità su molte pagine che avrebbero dovuto, a mio parere, scorrere più leggere.
Probabilmente La vergogna rappresenta la tappa di un viaggio in terre infide, nel pastiche postmoderno dell’ibrido tra fiction e non-fiction, e dovremmo iscriverlo nel panorama letterario mondiale coevo. Cinque anni dopo, questo lavoro di ammaestramento delle materie ribollenti nella mente di Rushdie prenderà la forma di quel caso letterario e politico mondiale che tutti conosciamo, I versetti satanici, e forse era necessario un libro di passaggio, un presagio quasi divertito delle condanne a morte che sarebbero poi puntualmente arrivate. Ma questo, e l’autore lo sa bene, è il prezzo da pagare per il racconto beffardo e dissacrante della realtà, tanto essenziale nella nostra troppo celebrata contemporaneità.

Salman Rushdie – La Vergogna

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MACERATA, 3 FEBBRAIO 2018

04 domenica Feb 2018

Posted by Marco Di Pasquale in Cronaca, Discussione, Politica, Storia

≈ 1 Commento

Il giorno dopo, lo spavento è passato ed è momento della riflessione, o almeno di tentare di capire e ragionare su ciò che è accaduto a Macerata sabato 3 febbraio 2018, una giornata che spero resti scolpita nella memoria dei miei concittadini. Dico “spero” poiché il fatto che non ci siano stati morti e che i feriti siano state persone di colore, quindi, nel becero immaginario collettivo, estranei alla comunità, rischia il rapido scarico nel dimenticatoio dei tanti fatti di cronaca che, ultimamente, anche noi nella quieta provincia ci stiamo abituando a metabolizzare.

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Prima o poi inserirò il mio curriculum vitae, anche se odio schedarmi. Mi piace molto di più parlare a braccio della mia vita, dei miei gusti, di tutto ciò cui non riesco a fare a meno. Piano piano riempirò questo ritaglio con qualche notizia. Intanto, potrete leggermi dentro le mie poesie...

ACCETTARE L’INVERNO


il fruscio secco della luce
attraversa ogni ramo
stormisce tra le ciglia
scantonando dietro le pupille
al bordo delle impressioni
un mattino inalato a fondo
raschia di tosse
le traiettorie sbieche
di cori natalizi a tangere la terra
che disfa sotto al gelo
brucia l’attesa in angoli di silenzio
dove accettare l’inverno

…

sulla strada rovina ogni proposito
nessun abside ad accogliere preghiere
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